L’ordinamento italiano prevede due strumenti fondamentali di monitoraggio della tracciabilità dei flussi finanziari: il Codice identificativo Gara (CIG attribuito da ANAC) e il Codice Unico di Progetto (CUP attribuito da Presidenza Consiglio dei Ministri DIPE). Si tratta di strumenti di grande importanza finalizzati a prevenire possibili infiltrazioni criminali nella gestione di risorse ed investimenti pubblici.
Ci si pone quindi la domanda relativa alla loro applicabilità nell’ambito dei rapporti giuridici disciplinati dal Codice del Terzo settore, tra i quali rientrano senza dubbio anche attività ove sussiste la gestione di risorse e flussi di finanza pubblica verso soggetti privati.
Per rispondere alla domanda occorre, ad avviso di chi scrive, inquadrare sia l’ambito di applicazione dei due istituti, il CIG e il CUP, sia la finalità che il legislatore si pone a presupposto e fondamento della loro istituzione. In questo commento affronteremo in particolare il tema del CIG.
Il Codice identificativo di gara (CIG) è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 3, comma 5 della Legge 13 agosto 2010, n. 136, con la quale si dispone che “Ai fini della tracciabilità dei flussi finanziari, gli strumenti di pagamento devono riportare, in relazione a ciascuna transazione posta in essere dalla stazione appaltante e dagli altri soggetti di cui al comma 1, il codice identificativo di gara (CIG), attribuito dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture su richiesta della stazione appaltante”.
Il CIG costituisce, quindi, uno strumento di monitoraggio dei flussi finanziari avviati da “stazioni appaltanti” e collegati procedure di gara (o di negoziazione), permettendo in questo ambito la tracciabilità dei pagamenti effettuati dalla pubblica amministrazione italiana.
Le suddette disposizioni sembrerebbero di per sé escludere la co-progettazione e, più in generale, le procedure disciplinate dal Codice del Terzo Settore, dalla sfera di applicazione dell’obbligo di acquisizione del CIG. Infatti i rapporti giuridici da stipularsi nell’ambito della disciplina del terzo settore devono essere inquadrati (oltre che dalle recenti Linee guida introdotte con D.M. 72 del 2021), alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 131 del 2020, quali contratti in espressa attuazione del principio di sussidiarietà cui all’ultimo comma dell’art. 118 Cost. e volti a realizzare “per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria”.
La Corte Costituzionale evidenzia che “si instaura, in questi termini, tra i soggetti pubblici e gli ETS, in forza dell’art. 55, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento» si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico”
Ne emerge che, le co-progettazioni del codice del terzo settore, non qualificano la pubblica amministrazione come “stazione appaltante” e non si basano sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma, semmai, sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private.
In altre parole il nostro ordinamento propone due moduli alternativi di partnership pubblico privato: quello corrispettivo, disciplinato dal codice dei contratti; quello collaborativo, fondato sul principio costituzionale di sussidiarietà, disciplinato dal codice del terzo settore.
Rimane ovviamente il problema, per le pubbliche amministrazioni, di individuare di volta in volta l’ambito di riferimento: sull’argomento è, tra l’altro, intervenuto il Consiglio di Stato, con parere n. 2052/2018 (quindi precedente al pronunciamento della Corte costituzionale) che ha ricostruito i termini di questa scelta con indicazioni assai restrittive a svantaggio del modello sussidiario; dopo di che il legislatore ha ritenuto di intervenire (art. 8, comma 5, lettera c bis, della legge n. 120 del 2020), al fine di precisare, in linea generale, che le norme del codice dei contratti si applicano “fermo restando” quelle, alternative, contenute nel codice del terzo settore.
Ma in questo articolo non ci poniamo il problema, assai complesso, di distinguere le due modalità di relazione pubblico privato: ci domandiamo più semplicemente se alle procedure disciplinate dal codice del terzo settore debba o meno essere apposto il CIG.
Su tale argomento alcuni pronunciamenti dell’ANAC sulla materia hanno contribuito ad alimentare una certa ambiguità.
In particolare l’ANAC, con comunicato del Presidente del 21.12.2018, afferma: “si chiarisce che il CIG deve essere acquisito in tutti i casi in cui la procedura di co-progettazione abbia carattere selettivo e tenda a individuare un partner che, oltre a fornire un contributo in fase progettuale, sia poi chiamato a gestire un servizio sociale dietro corrispettivo. Diversamente, nei casi in cui la procedura di co-progettazione sia estranea all’applicazione del codice dei contratti pubblici, le stazioni appaltanti non devono procedere all’acquisizione del CIG. Si tratta delle ipotesi individuate dal Consiglio di Stato nel parere n. 2052/2018, e, in particolare dei casi in cui: la procedura non abbia carattere selettivo, sia quindi aperta a tutti gli operatori che chiedano di partecipare, senza che sia stato previamente individuato un numero o un contingente prefissato; non tenda, neppure prospetticamente, all’affidamento di un servizio sociale e non sia quindi finalizzata alla gestione o alla co-gestione a titolo oneroso di un servizio sociale; miri all’affidamento ad un ente di diritto privato di un servizio sociale, ma lo stesso sia svolto a titolo integralmente gratuito ossia in assenza di un corrispettivo”.
Analogamente la delibera n. 300 del 13.03.2019 ANAC: “il CIG deve essere acquisito in tutti i casi in cui, come quello in esame, la procedura di co-progettazione abbia carattere selettivo e tenda a individuare un partner che, oltre a fornire un contributo in fase progettuale, sia poi chiamato a gestire un servizio sociale dietro corrispettivo, in base ai principi affermati dal Consiglio di Stato nel più volte richiamato parere n. 2052/2018″.
A nostro parere il comunicato ANAC non si caratterizza per chiarezza ed anzi confonde tre aspetti tra loro distinti quali quello della selettività, della corrispettività, della gratuità.
La selettività almeno in senso lato, sussiste inevitabilmente non solo nelle procedure comparative degli appalti pubblici, ma anche in ogni caso in cui debbano essere selezionati partner idonei a collaborare con la PA per il soddisfacimento di attività d’interesse pubblico;
la corrispettività è incompatibile in ogni caso di ricorso alle procedure disciplinate dal codice del terzo settore, non solo perché non possono prevedere corrispettivi, ma solo rimborsi (documentati) ma, soprattutto, perché i rapporti giuridici disciplinati dal codice del terzo settore non hanno ne possono avere natura corrispettiva ma, bensì, collaborativa;
la gratuità per l’amministrazione è invece compatibile con le procedure selettive e non è da escludersi in quelle corrispettive, disciplinate dal Codice dei contratti, quali i contratti di sponsorizzazione, le opere pubbliche realizzate a spese del privato, o le concessioni in cui la corrispettività possa derivare direttamente dalla gestione del servizio. Crediamo di dover evidenziare che le procedure connesse al terzo settore si caratterizzano per la non lucratività e non per la gratuità come afferma ANAC (anche sulla scorta del citato parere 2052/2018 del Consiglio di Stato).
ANAC trascura di evidenziare che CIG è acronimo di “codice identificativo gara” e, tenuto conto che gli affidamenti al terzo settore non possono in alcun modo essere annoverati tra le gare, già questo porterebbe ad escludere l’applicabilità del CIG a tali procedure; inoltre merita ricordare che il Consiglio di Stato, con proprio parere n. 3235 del 27.12.2019, indica nel codice dei contratti il perimetro di attività di ANAC e stabilisce che per “le materie che esulano dal perimetro ora indicato, … l’ANAC non ha il potere di adottare linee guida, nemmeno di tipo non vincolante”.
In sostanza i pronunciamenti di ANAC sopra citati sembrano accreditare l’ipotesi che, in certe circostanze, anche nel caso di procedure svolte ai sensi del codice del terzo settore, queste non siano escluse dall’applicazione del codice dei contratti e sia necessario acquisire il CIG.
Ciò potrebbe portare, almeno sul piano dell’opportunità e fino a che non sia fatta chiarezza sull’argomento, all’acquisizione del CIG, anche per (talune) co-progettazioni, al solo fine di garantire tracciabilità dei flussi finanziari.
Si tratta a nostro sommesso avviso di una indicazione che presenta il rischio di generare ulteriore confusione tra tipologie di procedure che il legislatore ha disciplinato secondo logiche alternative. Ne consegue il rischio di alimentare, nella pratica, procedure “ibride” che uniscono ed integrano aspetti disciplinati dalle due normative generando opacità e possibilità significative di contenzioso.
Per quanto ci riguarda riteniamo invece, da un punto di visto operativo, che qualora l’affidamento di servizi sociali rispetti in toto le condizioni stabilite dal Codice del terzo settore, si debba distaccarsi dal campo di applicazione del D.lgs. 50/2016 e conseguentemente non si debba neppure acquisire un CIG in quanto codice identificativo dei procedimento proprio degli appalti pubblici.
Al contrario, non si dovrebbe dar corso a procedure “ibride”, che, a nostro giudizio, si caratterizzano come elusioni della normativa in materia di contratti pubblici: in questi casi la norma di riferimento è il codice dei contratti, che, si ricorda, contiene, agli artt. 142 e ss. un capo specifico dedicato agli appalti di servizi sociali.
La garanzia della tracciabilità dei flussi finanziari conseguenti a rapporti giuridici tra pubblico e privato nell’ambito del terzo settore può invece essere in generale garantita tramite acquisizione del CUP, come esplicitato in altro articolo di questa rubrica.
Si segnala tuttavia come con la recente Delibera ANAC n. 371 del 27 luglio 2022 nell’aggiornare le linee guida in materia di tracciabilità dei flussi finanziari, l’autorità abbia ritenuto di estendere l’obbligo di estrazione del CIG anche in caso di utilizzo di istituti di cui al CTS.