1. Inquadramento -2. Considerazioni personali. -3. Conclusioni e soluzioni operative.
1. Inquadramento.
L’articolo 120, comma 9 del Nuovo Codice (D. lgs. 31 marzo 2023, n. 36) dispone <<Nei documenti di gara iniziali può essere stabilito che, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, la stazione appaltante possa imporre all’appaltatore l’esecuzione alle condizioni originariamente previste. In tal caso l’appaltatore non può fare valere il diritto alla risoluzione del contratto.>>.
La novità rispetto al precedente Codice consiste nel fatto che il quinto d’obbligo deve essere oggi previsto espressamente negli atti di gara.
La relazione introduttiva al Codice motiva questa scelta con la <<necessità di (..) rendere la previsione compatibile con le fattispecie di modifica consentite dalla direttiva>>.
IL DUBBIO CHE CI SI PONE È: IL QUINTO D’OBBLIGO DEVE ESSERE COMPUTATO NEL VALORE STIMATO DELL’APPALTO AI SENSI DELL’ARTICOLO 14, COMMA 4 DEL CODICE?
L’articolo 14, comma 4 dispone: <<Il calcolo dell’importo stimato di un appalto pubblico di lavori, servizi e forniture è basato sull’importo totale pagabile, al netto dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), valutato dalla stazione appaltante. Il calcolo tiene conto dell’importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi forma di eventuali opzioni o rinnovi del contratto esplicitamente stabiliti nei documenti di gara. Quando la stazione appaltante prevede premi o pagamenti per i candidati o gli offerenti, ne tiene conto nel calcolo dell’importo stimato dell’appalto.>>.
Da questa ampia formulazione, considerando vieppiù che con il Nuovo Codice il quinto deve essere espressamente previsto negli atti di gara assumendo così un carattere ancor più “opzionale”, sembrerebbe doversi ritenere che il cd. quinto d’obbligo debba essere computato ai fini del calcolo dell’importo di cui all’articolo 14, comma 14 del Codice.
In questa direzione si è espressa l’ANAC con il Bando Tipo n. 1 del luglio 2023 nel quale ritroviamo nella tabella degli importi da considerare ai fini del calcolo globale dell’appalto (paragrafo 3- tabella 3 – pagina 13) una riga dedicata proprio al quinto d’obbligo.
In questi termini motiva la relazione di accompagnamento al Bando tipo ANAC: <<Rispetto alle precedenti versioni del bando tipo e alle indicazioni fornite sul punto dall’Autorità con il Comunicato del Presidente del 23/3/2021, è stata adottata una diversa interpretazione dell’articolo 120, comma 11, del codice, sulla base delle considerazioni offerte nella Relazione illustrativa. In tale documento, infatti, è stata evidenziata la necessità di prevedere il c.d. quinto d’obbligo sin nei documenti di gara iniziali, per rendere la previsione compatibile con le fattispecie di modifica consentite dalla direttiva, con ciò qualificando la fattispecie come ipotesi di modifica. Sulla base di tale indicazione, la fattispecie è stata considerata come esemplificazione delle ipotesi di cui al comma 1, lettera a) dell’articolo 120 ed inserita nel calcolo del valore complessivo dell’appalto.>>.
In questo stesso senso si è espresso recentemente anche il MIT con i pareri nn. 7713 e 2714 del 21.06.2024 (https://www.serviziocontrattipubblici.com/Supportogiuridico/Home/QuestionDetail/2713; https://www.serviziocontrattipubblici.com/Supportogiuridico/Home/QuestionDetail/2714).
2. Considerazioni personali.
A parere di chi scrive l’istituto del quinto d’obbligo nasce come strumento posto per la tutela degli operatori economici dovendosi inquadrare semplicemente come limite quantitativo alle modifiche contrattuali e non anche come autonoma ipotesi di modifica contrattuale. In tal senso si era già correttamente – a mio avviso- espressa l’ANAC con il noto comunicato del 23 marzo 2021 (https://www.anticorruzione.it/-/comunicato-del-presidente-del-23-marzo-2021) nel quale si chiariva che il quinto d’obbligo << (..) non possa configurarsi come una fattispecie autonoma di modifica contrattuale, ma debba essere intesa come mera indicazione in ordine alla disciplina dei rapporti contrattuali tra le parti. (1)>>.
Vero è che nella prassi, sovente, l’istituto del quinto d’obbligo è stato interpretato ed utilizzato come autonoma ipotesi di modifica contrattuale.
Il legislatore del Nuovo Codice sembra aver sostanzialmente positivizzato in norma questa interpretazione ‘abusiva’ dell’istituto suggerendone un inquadramento come autonoma modifica contrattuale più che come limite di legge alle modifiche contrattuali.
A parere di chi scrive però rimangono valide le argomentazioni (de iure condendo) a sostegno della tesi dell’inquadramento del quinto come limite quantitativo ben espresse nel Comunicato ANAC 23 marzo 2021 (di cui un estratto in calce al presente articolo).
3. Conclusioni e soluzioni operative.
Concludendo, per il Bando tipo ANAC n. 1/2023 e per i richiamati pareri MIT del 21.06.2024, il quinto d’obbligo, deve essere computato ai fini del calcolo del valore stimato dell’appalto (art. 14, comma 4).
Pertanto, se -per ipotesi- ho un appalto di servizi dal valore di 120.000,00 euro, e ritengo di inserirvi il quinto d’obbligo, l’appalto assumerà un valore globale di 144.000,00 euro con il conseguente superamento della ‘soglia’ dell’affidamento diretto di cui all’articolo 50, comma 1, lett. b.
A parere di chi scrive tuttavia l’Amministrazione potrebbe prevedere una clausola di “quinto d’obbligo” fino al raggiungimento della soglia. In altre parole, l’Amministrazione potrà prevedere un’opzione di integrazione contrattuale ai sensi dell’articolo 120, comma 9 precisando che siffatte integrazioni potranno operare entro il limite massimo del raggiungimento della soglia. Nel caso in cui l’appalto abbia un valore di 120.000,00 euro l’Amministrazione potrà riservarsi di integrare il contratto per 19.999,99 Euro.
Sul punto si veda anche il recente parere MIT n. 2455 del 21.06.2024 per cui sembra essere ammissibile una diminuzione del valore del quinto.
(https://www.serviziocontrattipubblici.com/Supportogiuridico/Home/QuestionDetail/2455?sfnsn=scwspwa)
BERTELLI FRANCESCO
(1) La norma, quindi, deve essere intesa come volta a specificare che, al ricorrere di una delle ipotesi previste dai commi 1, lettera c) e 2 dell’articolo 106, qualora la modifica del contratto resti contenuta entro il quinto dell’importo originario, la stazione appaltante potrà imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario senza che lo stesso possa far valere il diritto alla risoluzione del contratto. Nel caso in cui, invece, si ecceda il quinto d’obbligo e, sempre purché ricorrano le altre condizioni di cui all’articolo106, commi 1 e 2, del Codice, l’appaltatore potrà esigere una rinegoziazione delle condizioni contrattuali e, in caso di esito negativo, il diritto alla risoluzione del contratto. La lettura prospettata trova giustificazione sulla base delle seguenti considerazioni. L’articolo 72 della direttiva 24/2014 non contempla la fattispecie in esame e chiarisce, al paragrafo 5, che “Una nuova procedura d’appalto in conformità della presente direttiva è richiesta per modifiche delle disposizioni di un contratto pubblico e di un accordo quadro durante il periodo della sua validità diverse da quelle previste ai paragrafi 1 e 2”. Nella relazione illustrativa al codice dei contratti pubblici, all’articolo 106, si legge che: “I commi 11, 12 e 13 disciplinano le ipotesi di rinnovo, proroga tecnica e aumento del quinto d’obbligo già previsti dalla legislazione nazionale e dalla legge di contabilità del 1923”. Da questa previsione emerge l’intenzione del legislatore di disciplinare la fattispecie in continuità rispetto al regime previgente: l’articolo 132, comma 4, del decreto legislativo n. 163/06 prevedeva che «Ove le varianti di cui a comma 1, lettera e), eccedano il quinto dell’importo originario del contratto, il soggetto aggiudicatore procede alla risoluzione del contratto e indice una nuova gara alla quale è invitato l’aggiudicatario iniziale». Le varianti previste al comma 1, lettera e) erano solo quelle rese necessarie per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo idonee a pregiudicare, in tutto o in parte, la realizzazione dell’opera ovvero la sua utilizzazione. Inoltre, per i servizi e forniture, l’articolo 311, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 207/2010 prevedeva che «Nei casi previsti al comma 2, la stazione appaltante può chiedere all’esecutore una variazione in aumento o in diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza di un quinto del prezzo complessivo previsto dal contratto che l’esecutore è tenuto ad eseguire, previa sottoscrizione di un atto di sottomissione, agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto originario senza diritto ad alcuna indennità ad eccezione del corrispettivo relativo alle nuove prestazioni. Nel caso in cui la variazione superi tale limite, la stazione appaltante procede alla stipula di un atto aggiuntivo al contratto principale dopo aver acquisito il consenso dell’esecutore». I casi previsti dal comma 2 erano individuati con riferimento all’articolo 132 del codice. La modifica nei limiti del quinto era quindi configurata non come ipotesi autonoma ma come modalità esecutiva delle modifiche previste dal codice all’articolo 132. Inoltre, parte della dottrina riconosceva la possibilità dell’aumento del quinto come opzione prevista nei documenti di gara. In tali ipotesi non era ritenuta necessaria la ricorrenza dei presupposti di imprevedibilità e sopravvenienza. Inoltre, la configurazione dell’articolo 106, comma 12, del Codice come fattispecie autonoma appare incompatibile con le indicazioni fornite al comma 2 del medesimo articolo, che subordina la possibilità di ricorrere a modifiche del contratto, in carenza delle condizioni del comma 1 e senza esperire una nuova gara, al rispetto di limiti più stringenti di importo (il 10% del valore del contratto per i servizi e forniture e il 15% per i lavori). In sostanza, le previsioni del richiamato comma 2 sarebbero eluse e si rivelerebbero inutilmente date, se fosse consentita la possibilità, in generale, di modificare il contratto nel rispetto di un limite quantitativo superiore. Si consideri, altresì, che l’utilità di una previsione autonoma sarebbe peraltro dubbia, sia rispetto al comma 1, lettera c) dell’articolo 106, che prevede la possibilità di modifica per fatti imprevisti e imprevedibili senza limiti di importo per i settori speciali e con limiti superiori (50%) per i settori ordinari, sia rispetto al comma 1, lettere a) ed e) del medesimo articolo. Tale disposizione consente, infatti, di prevedere, già nei documenti di gara, la possibilità di una futura modifica contrattuale senza limiti di importo, utilizzabile, ad esempio, nei casi in cui non sia possibile stimare con certezza il fabbisogno futuro. Altra possibile lettura considera il comma 12 della disposizione in esame come ipotesi autonoma riferita ai soli casi di modifica meramente quantitativa del contratto. Tale interpretazione non sembra, però, supportata dal dato normativo: l’incipit del comma 1 e le successive previsioni si riferiscono, infatti, in modo generico alle modifiche, senza distinguere tra modifiche qualitative e quantitative. Deve considerarsi, infine, che la previsione come fattispecie autonoma potrebbe condurre al cumulo delle diverse ipotesi di modifica contrattuale, con il superamento dei limiti di importo previsti dall’articolo 106 e il conseguente illegittimo ampliamento delle ipotesi derogatorie della normativa eurounitaria e nazionale in materia di affidamenti pubblici. Per completezza di informazione, si segnala che l’Autorità, nell’ambito delle attività in corso, volte alla valutazione di possibili interventi sul codice dei contratti pubblici con l’intento di perseguire la semplificazione e la razionalizzazione dell’impianto normativo, ha avanzato alcune proposte di modifica dell’articolo 106, le quali devono tuttavia essere ancora valutate dal Parlamento e dal Governo.