supportoappalti.com

Brevi considerazioni sul “dialogo competitivo”: la maieutica ha a che fare con il codice dei contratti?

Condividi

Condividi su facebook
Condividi su linkedin
Condividi su twitter
Condividi su email

Nella “Direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE”, vi sono diversi passaggi nei quali si parla di “dialogo competitivo” (in particolare, l’art. 30, con chiarimenti su specifiche questioni agli artt. 54 e 65). Al punto (42),la stessa Direttiva sottolinea che «il ricorso al dialogo competitivo ha registrato un incremento significativo in termini di valore contrattuale negli anni passati», ossia nei dieci anni intercorsi dalla precedente direttiva del 2004,  aggiungendo che tale procedura per l’aggiudicazione «si è rivelat[a] utile nei casi in cui le amministrazioni aggiudicatrici non sono in grado di definire i mezzi atti a soddisfare le loro esigenze o di valutare ciò che il mercato può offrire in termini di soluzioni tecniche, finanziarie o giuridiche». E in effetti, l’interesse per questa procedura è testimoniato anche dall’ampia letteratura dedicata. In questo contesto, sembra interessante soffermarsi brevemente ein generale sul significato dell’espressione “dialogo competitivo”, come passo preliminare per una successiva riflessione sulle potenzialità e sui limiti di questa procedura.

Tale disciplina di settore è stata recepita nel D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 di “Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione….”. In quest’ultimo testo legislativo, c.d. Codice dei Contratti Pubblici, il dialogo competitivo è più ampiamente trattato all’art. 3, punto vvv) e all’art. 64. Ora, l’art. 3, punto vvv) del D.Lgs. 50/2016 definisce il dialogo competitivo come «una procedura di affidamento nella quale la stazione appaltante avvia un dialogo con i candidati ammessi a tale procedura, al fine di elaborare una o più soluzioni atte a soddisfare le sue necessità e sulla base della quale o delle quali i candidati selezionati sono invitati a presentare le offerte; qualsiasi operatore economico può chiedere di partecipare a tale procedura». Come si vede, non viene data alcuna definizione del termine dialogo, limitandosi a definirne alcuni degli aspetti fondamentali relativi al chi, al che cosa, al come, e al perché:

 

Chi: i partner del dialogo sono la “stazione appaltante” e i “candidati”, ulteriormente specificati come “qualsiasi operatore economico” che chieda di partecipare alla procedura.

Che cosa: l’oggetto del dialogo è costituito dall’oggetto della procedura di affidamento (l’oggetto dell’appalto).

Come: la stazione appaltante dà avvio alla procedura e poi al dialogo, conclusosi il quale «i candidati selezionati sono invitati a presentare le offerte».

Perché: la stazione appaltante ha bisogno di«elaborare una o più soluzioni atte a soddisfare le sue necessità», e per far questo, date certe condizioni, lo strumento del dialogo competitivo appare come la procedura più adeguata.

 

Ne risulta che il «dialogo competitivo» si svolge fra la stazione appaltante e gli operatori economici che si siano candidati perché la prima non ha a disposizione tutte le informazioni che ritiene le servirebbero e auspica di poterle desumere da un rapporto più diretto con i secondi. Esso ha a oggetto questioni relative a uno a più aspetti degli interventi per i quali si è ricorsi a questa procedura «per l’aggiudicazione di lavori di contratti, forniture o servizi» (art. 59., c.1, lett. a). Una volta che la stazione appaltante ritenga di aver ottenuto abbastanza informazioni, termina il dialogo chiedendo ai partner selezionati di presentare offerte a partire dalle quali pervenire a una decisione finale, comunque sempre e «unicamente sulla base del criterio dell’offerta con il miglior rapporto qualità/prezzo conformemente all’articolo 95, comma 6» (art. 64, c.1). Infine, la possibilità di scegliere la procedura denominata “dialogo competitivo” dipende dalla presenza di alcune condizioni elencate all’art. 59, c.2.

Fin qui, tuttavia, non è emersa alcuna argomentazione o motivazione per l’uso del termine dialogo a indicare la particolare procedura in esame e ciò rende legittimo domandarsi a che tipo o modello di dialogo si faccia qui riferimento, insomma cosa significhi “dialogo”, peraltro specificato dall’aggettivo “competitivo”.Sebbene una qualche risposta sia già in parte contenuta in quanto detto finora, essa diviene più chiara considerando l’art. 64, dal quale emerge che sembra trattarsi di una forma di dialogo modellata, con tutte le differenze del caso, su quella classica del dialogo socratico. Chi abbia un minimo di familiarità con i celebri Dialoghi di Platone, potrà ricordare che il loro protagonista indiscusso è praticamente sempre Socrate, il filosofo che va in giro a interrogare gli altri sulla verità delle cose e che li ingaggia in una conversazione a due – un dialogo, per l’appunto – alla fine della quale quella verità sarà dimostrata e accettata da entrambi gli interlocutori.

Ma cosa può avere in comune un modello filosofico di dialogo con un dialogo teso ad aggiudicare «contratti di lavori, forniture o servizi»? Intanto, la posizione asimmetrica dei dialoganti, perché se è vero che ex art. 64, c.6 «durante il dialogo le stazioni appaltanti garantiscono la parità di trattamento di tutti i partecipanti» e che «a tal fine, non forniscono informazioni che possano avvantaggiare determinati partecipanti rispetto ad altri», resta il fatto che spetta alla stazione appaltante garantire tale parità, perché è essa, un po’ come Socrate, a condurre un dialogo che di volta in volta coinvolge soltanto due interlocutori – lei stessa e uno dei candidati. Non si tratta infatti di un dialogo “multilaterale”, condotto fra la stazione appaltante e tutti i candidati contemporaneamente, come sembra suggerire anche il fatto che «le stazioni appaltanti non possono rivelare agli altri partecipanti le soluzioni proposte o altre informazioni riservate comunicate da un candidato o da un offerente partecipante al dialogo, senza l’accordo di quest’ultimo» (art. 64, c.7).

Ciò dipende dalla circostanza che la stazione appaltante ricorre al dialogo come strategia comunicativa finalizzata a ottenere informazioni che ritiene necessarie per arrivare alla definizione della proposta (e del candidato) migliore per i suoi scopi, ciò che è chiaramente indicato dall’aggettivo “competitivo”. Infatti, questo tipo di dialogo mette ovviamente in competizione i candidati fra di loro e non con la stazione appaltante, che proprio da questa procedura competitiva può aspettarsi di pervenire alla migliore soluzione, dialogando su quegli aspetti che ha definito come prioritari per lei e sui quali vuole pervenire alla “verità”, ossia fuor di metafora a un punto in cui si ritenga «in grado di individuare la soluzione o le soluzioni che possano soddisfare le sue necessità» (art. 64, c. 9). Certamente, la stazione appaltante ha bisogno dei partner del dialogo per pervenire a quel punto, e perciò ogni interlocutore con cui entra in relazione è per lei degno di considerazione, rispetto e attento ascolto.

Ma resta il fatto che è soltanto la stazione appaltante a decidere se e che il dialogo si farà, su che cosa verterà il dialogo, quali saranno gli interlocutori (visto che può anche procedere a una loro selezione, ovviamente motivata), quanto tempo si protrarrà, e quale sia la soluzione (o le soluzioni) che la soddisfano. Ciò non significa affatto mettere in discussione questa procedura, che anzi è da salutare con favore perché permette una maggiore interazione fra amministrazioni e operatori economici a tutto vantaggio degli appalti da aggiudicare. La questione, semmai, è un’altra e ha a che fare con l’ipotesi di ricorso a questa particolare procedura quando «[le esigenze dell’amministrazione aggiudicatrice perseguite con l’appalto] implicano progettazione o soluzioni innovative» (art. 59, c. 2, lettera a), punto 2).

Il dialogo competitivo, infatti è orientato al c.d. problem-solving e al perseguimento della maggiore efficienza ed efficacia delle soluzioni adottate, insomma alla (tendenziale) corrispondenza mezzi-fini. Sfortunatamente, però, tale atteggiamento non pare del tutto adeguato al perseguimento dell’innovazione, perché l’emergere della novità – avendo a che fare con il non-ancora-noto, se non proprio con l’ignoto – non è né prevedibile, né “governabile” attraverso la semplice riproduzione di meccanismi già noti.Inoltre, la competizione fra i candidati è orientata in definitiva all’assicurarsi l’appalto, e non a individuare una soluzione che  conduca a nuova informazione capace di produrre innovazione nell’ambiente, e in definitiva potrebbe coincidere con un semplice accordo conseguito con altri mezzi (il dialogo), ma non essenzialmente diverso da una “negoziazione”.

Dunque, se e quando il fine da raggiungere è la novità, e l’eventuale conseguente innovazione, sarebbe forse più utile riflettere sulla possibilità di ricorrere a particolari forme di dialogo a più di due voci, magari ispirato anche a concetti quali “collaborazione” e “cooperazione”, non tanto perché dialogare con più partner contemporaneamente assicuri una sommatoria di conoscenze tali da trasformarsi direttamente e immediatamente in spunti o soluzioni innovative, quanto piuttosto per permettere una libera interazione fra “argomenti”, “punti di vista” e “soluzioni” anche molto distanti e persino in conflitto fra loro, i quali però in virtù e nel corso del dialogo, che come lo stesso Codice prevede può articolarsi in più «fasi successive» (art. 64, c.8), potrebbero far emergere la novità dalla complessità, per così dire.

 

 

Prof. Avv. Flavia Monceri      

Potrebbe interessarti anche

Hai bisogno di supporto per un progetto?

Contatta il nostro staff di professionisti per una prima consulenza completamente gratuita.