“Dove un superiore pubblico interesse non imponga
un momentaneo segreto, la casa dell’amministrazione
dovrebbe essere di vetro”
Filippo Turati coniò la metafora secondo cui la Pubblica Amministrazione deve essere come una “Casa di Vetro” in occasione di un discorso tenuto presso la Camera dei Deputati nel 1908, ormai molti anni fa.
Tuttavia ancora oggi l’aspirazione di Turati a costruire un’ amministrazione pubblica che procede in modo chiaro e corretto, rectius , trasparente , un’amministrazione pubblica il cui involucro deve essere vitreo, cioè tale che al suo interno sia tutto costantemente e quotidianamente visibile, rimane la speranza di molti cittadini e cittadine e lo scopo di molti amministratori e dipendenti pubblici.
Numerose norme e disposizioni legislative hanno cercato in questi anni di operare per la costruzione della “casa di vetro”.
Quella di cui intendo trattare è il DPCM del 27/1/1994 la cosiddetta Direttiva Ciampi che dispone i principi su cui deve essere uniformata l’erogazione dei servizi pubblici anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione.
La Direttiva è nota soprattutto per aver istituito la Carta dei Servizi ovvero quel documento nel quale sono dichiarati i diritti ed i doveri di chi eroga un servizio e di chi ne è utente.
La redazione della Carta dei servizi è oramai entrata nella prassi ordinaria, uno di quei documenti forse un po’ standardizzati e “ a matrice” , per la cui stesura spesso viene dedicato poco tempo ed attenzione, come si dice “un mero adempimento burocratico”.
Mettendo però bene a fuoco il testo della Direttiva si notano spunti e indicazioni che se riflettuti e declinati con attenzione possono fornire un’occasione di potenziamento della qualità del servizio erogato e con esso conseguentemente del soggetto erogatore.
Quello che a mio avviso è interessante focalizzare è uno dei “principi generali” che la Direttiva indica ovvero la “PARTECIPAZIONE”.
“la partecipazione del cittadino alla prestazione del servizio pubblico deve essere sempre garantita sia per tutelare il diritto alla corretta erogazione del servizio, sia per favorire la collaborazione nei confronti dei soggetti erogatori”.
Se questo è lo spirito o meglio il metodo che la norma ci suggerisce perché non iniziare ad applicarlo proprio dalla redazione /stesura della Carta stabilendo così da subito l’humus proattivo alla partecipazione così come viene indicata ? Perchè non far diventare la stesura della Carta un “progetto” di comunicazione e coesione sociale?
La stesura di una Carta dei servizi “partecipata” può consentire ad una Pubblica Amministrazione – ma anche ad un soggetto privato che gestisce per suo conto un servizio- di raggiungere due obiettivi strategici e istituzionali:
– “La protezione del cittadino contro la disgregazione e la frammentazione sociale, in quanto paura di non essere compreso, capito dal proprio contesto sociale;
– L’emancipazione anche attraverso la nascita di nuovi spazi di apprendimento per fare benefici alla comunità”.(1)
Ma in che modo ? Con quali azioni ?
Per prima cosa le Pubbliche Amministrazioni interessate dovrebbero individuare e dichiarare un “indice” della Carta ovvero quelli individuabili come principi fondamentali che devono sottostare alla realizzazione del servizio, potremmo dire la “Vision” e la “Mission” (cadendo ahimè nella trappola dei prestiti linguistici anglofoni!) , offrendo così quell’azione di orienting istituzionale delineante la governance che si vuole realizzare.
Successivamente si può mettere in atto quello che la Direttiva stessa suggerisce come strumenti (a posteriori) per la valutazione del servizio : coinvolgere i futuri utenti in interviste, focus groups, incontri tematici affinchè essi possano esprimere i propri punti di vista e necessità.
In questa fase è possibile prevedere un eventuale scenario di “ conflitto sociale” positivo ed incoraggiante nell’espressione delle differenze soggettive e/o di gruppo, che in quel luogo – protetto perché progettato- può diventare scambio di opinioni diverse ed anche contrapposte e contraddittorie ma comunque utili se riconosciute, espresse, orientate ed ri-elaborate.
In questo modo la Carta dei servizi non è più la fotografia dell’esistente ma diventa luogo di confronto, tra tutti i soggetti che vivono il servizio, possibilità di interazione tra vissuti e significati personali e sociali.
Un percorso di questo tipo consentirà agli utenti di sviluppare un sentimento di responsabilità, di vicinanza ai bisogni degli altri e di sentirsi orientati in percorso di apprendimento di “senso civico” che porta a sentirsi prossimi e la prossimità è l’antefatto della solidarietà e della possibilità di condivisione.
Risulta evidente in questo scenario il ruolo che la Pubblica Amministrazione assume deve essere chiaramente quello di “volano” del progetto, telaio sul quale si intrecciano i fili della partecipazione.
Può farlo avvalendosi di professionisti competenti nella “comunicazione sociale” che agiscano soprattutto con un approccio “pedagogico” e “formativo”.
Le pubbliche amministrazioni sono spesso dotate di queste professionalità che operano per lo più nei settori che si occupano di politiche sociali ed educativo- scolastiche e più in generale che si rapportano con soggetti del terzo settore e no- profit.
Perché non metterli a disposizioni in modo più ampio per interventi allargati ai diversi ambiti di affidamento di servizi?
(1) Donatella Falleni, Rita Villani (2019) “La Carta del Sistema integrato dei Servizi per l’educazione dell’infanzia” in di C.Silva, L.Bottigli ed Enrica Freschi (a cura di) , Costruire reti –ed. Junior.
DONATELLA FALLENI